Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso ex  lege,  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, (C.F. 80224030587, per il  ricevimento  degli  atti  fax
06-96514000 e pec: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), presso i  cui
uffici in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12 - domicilia - contro; 
    Regione Abruzzo, in persona del  Presidente  pro  tempore,  dott.
Marco Marsilio, con sede in L'Aquila - via Leonardo da Vinci n.  6  -
cap 67100; 
    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge
regionale n. 9/2020 (pubblicata nel B.U.R. n. 44 del 7  aprile  2020)
recante  «Misure  straordinarie   ed   urgenti   per   l'economia   e
l'occupazione connesse all'emergenza  epidemiologica  da  COVID  19»,
articoli 2, comma 3 lettera b) e comma 7, 3, commi 2, 3 e 4, 5, comma
11, 9, commi 6 e le lettera a), b), c) e d). 
    La Regione Abruzzo con la legge  epigrafata,  relativamente  alle
norme teste' citate ha ecceduto dalla  propria  competenza,  come  si
intende dimostrare con la illustrazione dei seguenti 
 
                               Motivi 
 
    1. Articoli 2, comma 3, lettera b) e comma 7, 3, commi 2, 3 e  4,
5, comma 11, 9, comma 6. 
    Le norme epigrafate risultano in contrasto con l'art.  81,  terzo
comma,  della  Costituzione  non  indicando  l'occorrente   copertura
finanziaria. 
    Invero, l'art. 2, comma 3, lettera b)  non  indica  la  copertura
finanziaria delle disposizioni previste su  strumenti  di  intervento
finanziario per microimprese, piccole e medie imprese  abruzzesi,  in
contrasto con l'art. 81, terzo comma, Costituzione. 
    L'art. 2, comma 7  non  indica  la  copertura  finanziaria  delle
disposizioni  ivi  previste  su  iniziative  «Compra  abruzzese»   in
contrasto con l'art. 81, terzo comma, Costituzione. 
    L'art. 3, comma 2, non  indica  la  copertura  finanziaria  delle
disposizioni ivi previste, su acquisto di beni e servizi informatici,
in contrasto con l'art. 81, terzo comma, Costituzione. 
    L'art. 3, comma 3  non  indica  la  copertura  finanziaria  delle
disposizioni ivi previste, su fondo di solidarieta'  per  contribuire
alle maggiori spese sostenute per l'acquisto di beni e servizi e  per
lo straordinario del personale dipendente, in  contrasto  con  l'art.
81, terzo comma, Costituzione. 
    L'art. 3, comma 4  non  indica  la  copertura  finanziaria  delle
disposizioni ivi previste, su prestazioni di primaria necessita'  nei
confronti dei cittadini piu' fragili, in  contrasto  con  l'art.  81,
terzo comma, Costituzione. 
    L'art. 5, comma 11 non  indica  la  copertura  finanziaria  delle
disposizioni ivi previste, su incentivo economico a parziale  ristoro
dei costi fissi e imprescindibili sostenuti al fine di  mantenere  in
funzione impianti a ciclo continuo, in contrasto con l'art. 81, terzo
comma, Costituzione. 
    L'art. 9, comma 6: la norma prevede  che  i  fondi  di  rotazione
istituiti ai sensi delle leggi regionali n. 17 e n. 29 del 2018 siano
considerati trasferimenti definitivi a fondo perduto a  favore  degli
enti beneficiari. La norma, tuttavia, non  indica  la  copertura  dei
nuovi oneri da essa derivanti, in  contrasto  con  l'art.  81,  terzo
comma, Costituzione. 
    Orbene, e' di solare evidenza che ogni legge che importi nuovi  o
maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. 
    In particolare, con specifico riferimento all'art. 3, comma 3, la
legge  regionale  non  quantifica  gli  oneri  necessari,  parla   di
eventuali economie e genericamente di fondi  da  riprogrammare  senza
specificare se si tratti di fondi inscritti sul  bilancio  regionale,
oppure di FSC,  con  cio'  rendendo  impossibile  la  verifica  della
capienza di fondi disponibili ossia non coperti da precedenti impegni
assunti. La copertura, per non andare in  contrasto  con  l'art.  81,
deve essere presente al momento dell'entrata in vigore della legge  e
non futura e incerta. 
    Inoltre, con riferimento all'art. 5, comma 11, non viene  fornita
una quantificazione degli oneri e la copertura e' indicata  a  valere
sull'art. 2, comma 1,  lettera  e),  il  quale  indica  una  generica
riprogrammazione di fondi statali non vincolati  (o  finalizzati)  ad
attivita' compatibili con le finalita' della legge. 
    Pertanto, anche in questo caso, la  copertura  finanziaria  delle
spese deve essere certa ed attuale. Al riguardo,  si  rappresenta,  a
margine, che qualora la regione intendesse avvalersi  della  facolta'
di riprogrammare le risorse statali del Fondo per lo  sviluppo  e  la
coesione  (FSC)  per  il  contrasto  all'emergenza   Covid   prevista
dall'art. 241 del decreto-legge n. 34/2020, comunque  non  richiamato
dalla  regione  medesima,  si  rappresenta  che  le  riprogrammazioni
previste da tale disposizione in relazione all'emergenza COVID devono
essere oggetto di approvazione da parte della Cabina di regia. 
    In altri termini, l'incentivo  previsto  non  e'  in  alcun  modo
quantificato se non con un mero rinvio per la copertura  all'art.  2,
comma 1, lettera e). Tale disposizione  fa  un  generico  riferimento
alla riprogrammazione dei fondi statali non vincolati  o  finalizzati
ad attivita' compatibili con le finalita' di cui  alla  legge  stessa
per  i  quali  non  siano  stati   assunti   impegni   giuridicamente
vincolanti,  senza  precisare  quali  siano  questi  fondi  e  quindi
rendendone impossibile  la  riprogrammazione  e  conseguentemente  la
determinazione  dell'effettiva  capienza   dei   fondi   stessi.   La
disposizione inoltre e' suscettibile di ingenerare aspettative per le
aziende destinatarie del ristoro e di generare contenziosi. Anche qui
prima di prevedere un beneficio occorre individuare con  certezza  le
risorse con cui fare fronte. 
    2. Art. 9, comma 1 c, lettere a), b), c) e d). 
    L'art. 9, comma 1 c, lettere a) b)  c)  d)  introduce  condizioni
limitative che, oltre a non avere  alcuna  attinenza  con  le  misure
straordinarie ed urgenti  per  l'economia  e  l'occupazione  connesse
all'emergenza epidemiologica e con la natura transitoria della legge,
in qualche modo pregiudicano i  diritti  dei  cittadini  operando  di
fatto  una  modifica  con  conseguenze  durature   sulla   previgente
normativa. 
    Invero la norma, che, come detto, pone in essere una  limitazione
evidente di natura non transitoria bensi' permanente, prevede  che  i
comuni e gli  enti  gestori  delle  terre  civiche  ad  utilizzazione
pascoliva  di  cui  all'art.  15  adottino  i  seguenti  criteri  per
l'assegnazione dell'uso civico di  pascolo:  le  terre  civiche  sono
conferite ...prioritariamente ai soggetti di cui  all'art.  26  della
legge n. 1766/1927 iscritti nel registro della popolazione  residente
da almeno dieci anni che abbiano un'azienda zootecnica, ricoveri  per
stabulazione invernali  e  codice  di  stalla  riferito  allo  stesso
territorio comunale o ai comuni limitrofi; nel caso in cui  l'azienda
assuma la forma giuridica  di  societa'  di  persone  o  societa'  di
capitali, il possesso dei requisiti  di  cui  alla  lettera  a)  deve
verificarsi in capo alla totalita' dei soci nel caso di  societa'  di
persone e almeno  due  terzi  delle  quote  societarie  nel  caso  di
societa' di capitali. Il  codice  aziendale  di  stalla  deve  essere
unico, attribuito alla forma giuridica conferitaria  e  ricomprendere
l'intera consistenza zootecnica; d) una volta soddisfatta la  domanda
di  concessione  di  cui  alla  lettera  a),  in  caso  di  eccedenza
l'assegnazione e' concessa ai residenti dei comuni  limitrofi  e  poi
delle province limitrofe e, infine, ai residenti della regione. 
    Quanto    ai    dedotti    profili    di     incostituzionalita',
nell'evidenziare che  la  materia  dei  «domini  collettivi»  ha  una
molteplice dimensione, a un tempo personalista,  pluralista,  comune,
solidarista,   collettiva,   civica,    cooperativa,    territoriale,
frazionale,  sussidiaria,  storica,  giuridica,  politica,   sociale,
comparata,   urbanistica,   turistica,    forestale,    archeologica,
etnologica, antropologica, culturale (e via dicendo)  si  rappresenta
che la disposizione in argomento configura: 
        una distorsione dell'istituto cosi' come  disciplinato  dalla
legge n. 168 del 2017, il cui art. 1 riconosce i  domini  collettivi,
comunque  denominati,  come  ordinamento  giuridico  primario   delle
comunita' originarie in attuazione dell' art. 2 della Costituzione; 
        una   conseguente   potenziale   violazione    della    norma
costituzionale da ultimo citata. 
    La legge statale  del  2017,  il  cui  contenuto  dispositivo  si
riporta per comodita', riconosce ai domini collettivi la capacita' di
autonormazione, sia per l'amministrazione oggettiva e soggettiva, sia
per l'amministrazione vincolata e discrezionale, nonche' la capacita'
di gestione del patrimonio naturale, economico  e  culturale  che  fa
capo alla base territoriale della proprieta' collettiva,  considerato
come comproprieta' intergenerazionale; inoltre, nel  successivo  art.
2, commi 2 e 3 si legge che «... la Repubblica riconosce e  tutela  i
diritti dei cittadini di uso e di gestione  dei  beni  di  collettivo
godimento preesistenti allo Stato italiano.  Le  comunioni  familiari
vigenti nei territori montani continuano a godere e  ad  amministrare
loro beni in  conformita'  dei  rispettivi  statuti  e  consuetudini,
riconosciuti dal diritto anteriore. 3.  Il  diritto  sulle  terre  di
collettivo godimento si caratterizza quando si verificano le seguenti
situazioni: a) avere normalmente, e non eccezionalmente,  ad  oggetto
utilita' del fondo consistenti in uno sfruttamento di esso; b) essere
riservato ai componenti  della  comunita',  salvo  diversa  decisione
dell'ente collettivo». 
    Segnatamente, dunque, la violazione eccepita si concretizza nella
circostanza che la norma regionale, cosi' come enucleata,  non  tiene
conto del fatto che gli usi civici e le  proprieta'  collettive  sono
espressione di diritti fondamentali, o meglio  sono  diritti  storici
riconosciuti, di cui, complessivamente,  la  persona  gode  sia  come
singolo  sia  nelle  formazioni  sociali  «ove  si  svolge   la   sua
personalita'» ex art. 2,  Costituzione  nella  dimensione  pluralista
cosi' come storicamente determinatasi. 
    Inoltre, si ravvisano ulteriori  profili  di  incostituzionalita'
con riferimento agli articoli 3 e 117,  comma  1,  lettera  I)  della
Costituzione in quanto la legge regionale introduce delle  condizioni
limitanti del diritto  all'uso  civico  da  parte  degli  utenti  non
previste dalla normativa statale ed assegna un  regime  preferenziale
ad alcune categorie rispetto ad altre. 
    Al riguardo, non si puo' fare a  meno  di  rammentare  che,  gia'
prima della riforma  del  Titolo  V  della  Costituzione,  il  regime
civilistico dei beni  civici  non  e'  mai  passato  nella  sfera  di
competenza  delle  regioni,  in  quanto  la  materia  «Agricoltura  e
foreste»  di  cui  al  citato  art.  117  della   Costituzione,   che
giustificava  il  trasferimento  delle  funzioni   alle   regioni   e
l'inserimento degli usi civici  nei  relativi  statuti,  mai  avrebbe
potuto ricomprendere la disciplina della titolarita' e dell'esercizio
dei diritti dominicali sulle terre civiche. 
    Per quanto detto, ogni  civis,  in  quanto  appartenente  ad  una
determinata collettivita', e' legittimato ed ha il diritto  di  poter
godere dei suddetti diritti. Vieppiu', la disposizione regionale, con
specifico riferimento alla  lettera  c)  del  punto  c  del  comma  1
dell'art. 9, ove si legge che «per i soggetti di cui alla lettera  a)
puo' essere assicurata, compatibilmente con le disponibilita' di ogni
singolo comune, una concessione annuale fino ad un  ettaro  di  terre
civiche ad utilizzazione  pascoliva  per  ogni  0,1  UBA  immessa  al
pascolo; in canone annuale per il diritto di uso  civico  di  pascolo
non puo' superare quaranta euro per UBA» presenta ulteriori  elementi
di criticita' in quanto, da una parte, genera una concorrenza  sleale
nei confronti degli altri allevatori che  non  beneficiando  dell'uso
civico pagano per il foraggio cifre ben piu' elevate  e,  dall'altra,
tradisce la ratio dell'uso  civico,  rappresentata  dall'esigenza  di
procurare  il  foraggio  per  soddisfare  il   fabbisogno   familiare
dell'allevatore, introducendo una forma piu' estesa che comprende  il
c.d. «uso civico economico». 
    Cio' si traduce  in  una  violazione  delle  norme  di  cui  agli
articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea
relative alla parita' di  concorrenza  tra  gli  operatori  economici
(corrispondenti agli articoli 81-89  nella  versione  previgente  del
Trattato,  che  riguardano  le  normative  nazionali  in  materia  di
attivita' d'impresa). 
    Altresi', va sottolineato che con l'art. 9, comma 1, lettera  c):
poiche' si tratta usi civici connotati da una  valenza  economica  in
quanto il titolare dell'uso civico del pascolo nel  contesto  attuale
e' un imprenditore agricolo, la circostanza di accordare un beneficio
economico, quale previsto dal citato comma art. 9, comma 1, lett. c),
ad un soggetto  residente  di  una  concessione  annuale  con  canone
calmierato puo'  alterare  il  corretto  assetto  concorrenziale  tra
imprenditori residenti nel territorio comunale rispetto a quelli  dei
territori confinanti. Da qui la lesione  dei  principi  di  cui  agli
articoli 101 e 102 del Trattato dell'Unione europea, con  conseguente
violazione dell'art. 117, primo comma,  della  Costituzione,  nonche'
dell'art. 117, secondo comma,  lettera  e),  della  Costituzione  che
riserva allo Stato la materia della tutela della concorrenza.